venerdì 8 febbraio 2013

... scrivere come disegnare.

In tanti anni che vengo qui col treno, non mi ero mai accorta che esistesse quell'angolo. Non mi ero mai girata al momento giusto per fermare sulla retina quel pezzetto di mondo. Per portarlo all'esistenza, all'interno della mia conoscenza. Un ponte strano, moderno, sostenuto da due funi collegata quell'anfratto protetto da uno sperone di roccia alla civiltà. Poche case. Due, o forse quattro. Un uomo anziano, alto, appena curvo, con una giacca a vento viola, di quelle che andavano vent'anni fa, cammina in salita, sul bordo del precipizio, sull'acciottolato. Spinge una carriola. Guardo meglio, non è vero. Non spinge nulla. In un disegno, ci sarebbe stata bene una carriola. Sarebbe rimasto fermo lì, a spingerla, per portare il mangime alle galline, o ai conigli, o che so io. Non ha una moglie. Non è morta, non se n'è andata: semplicemente, nel disegno non c'è posto per lei.
Se ne fossi capace, forse, disegnerei al posto di scrivere. Farei dei piccoli schizzi. Ma non mi riesce, allora scrivo, e forse in fondo è uguale. O forse no, perché devo sforzarmi di più, per farvi vedere.E aggiungo, e tolgo, e correggo. E faccio vivere per sempre quell'uomo sulla carta, nel suo villaggio. E allora questa carriola... CE LA SCRIVO!


C'è un grappolo di case, tra la stazione di Bard e quella di Verres. Tra la montagna e la Dora, tra la roccia e l'acqua. Lì vive un uomo, vecchio. Cammina curvo, ma non troppo. Ha una giacca viola, fuori moda, e una carriola piena di niente. E rimane lì, in eterno, a spingerla in salita senza sforzo, fermato per l'eternità, accanto al parapetto, sopra il precipizio.

Lo vedete?

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