martedì 26 marzo 2013

Scrivere l'inizio - elogio della preterizione

è strano, ma è così. Scrivere la fine è più facile che scrivere l'inizio. Anche raccontare andando di fantasia,  attingendo a esperienze passate quel tanto che basta per dare al racconto un tocco di verità, è semplice se i ricordi che fanno da serbatoio sono dolorosi, o quando meno tristi, un po' malinconici, velati di negatività. Si usa la scrittura come valvola di sfogo, o con l'intento di far commuovere, e il patetico è sempre dietro l'angolo, ingrediente tanto efficace quanto semplice da usare.

Ma raccontare l'inizio è un vero casino. Si fa fatica a razionalizzare le emozioni, a incanalarle. Si ha voglia di tenerle per sé e di raccontarle nello stesso momento. Non si spiega cosa si prova ad aspettare per due settimane qualcuno che non si è mai visto, accompagnarlo da lontano in un viaggio sentendolo così vicino. Non si descrive l'ansia di incontrarlo, il timore di non essere simile alle parole in cui ti sei versata. La paura che il tuo viso e il tuo sorriso non facciano rima con ciò che hai scritto. E ancora, non si racconta la gioia di trovarsi esattamente uguali a ciò che si era sperato, e l'emozione di sentire un discorso come nessuno te l'ha mai fatto e saperlo rivolto proprio a te. A nessuno puoi dire come ti manca il respiro al primo bacio, e quanto è bello scoprire che continua a mancarti per tutta la sera. E tanto meno puoi spiegare la felicità di vederlo lì tornando a casa, e di incominciare a sorridere sentendoti al mondo, stanca ma qui, e felice di esserci, e sicura di non volerti staccare.

Insomma, non si può scrivere l'inizio. ;)

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