mercoledì 13 novembre 2013

Il bordo vertiginoso delle cose

TRAMA (da qlibri): Mentre sorseggia il cappuccino come ogni mattina, seduto in un bar nel centro di Firenze, Enrico Vallesi legge una notizia sul giornale: in un conflitto a fuoco con i carabinieri, è rimasto ucciso un rapinatore, da poco uscito di galera. Il nome della vittima riporta Enrico alla fine degli anni Settanta, al primo giorno di liceo, quando in una classe di quindicenni aveva fatto la sua comparsa Salvatore. più volte bocciato, turbolento, il compagno che gli aveva insegnato come difendersi dalla violenza della strada e superare a testa alta quel territorio straniero che è l'adolescenza. Ai ricordi di Enrico si alterna il racconto del suo ritorno nella città dalla quale era partito, quando non aveva ancora conosciuto gioie e delusioni del matrimonio e del suo mestiere di scrittore. Un ritorno a casa in cerca di risposte ai propri tormenti, per scoprire quello che tanti anni prima si era lasciato alle spalle, ma anche per capire cosa è diventata nel frattempo la sua vita.

Tutti presi a parlare di chi c’è in testa alla classifica dei libri più venduti – io per ora sull’argomento taccio, ma sono quasi tentata di leggerlo, il primo in classifica, perché ho la poco diffusa abitudine di voler conoscere prima di (s)parlare – non ci siamo quasi accorti di chi c’è subito dietro, in seconda posizione. Esatto, proprio lui, Carofiglio. Il fatto che sia in seconda posizione, e non in centesima, rende, secondo me, il panorama della letteratura italiana un po’ meno triste.

L’Enrico de Il borgo vertiginoso ha qualcosa in comune con Giorgio de Il passato è una terra straniera, e se vogliamo anche con il primo Guerrieri. Insomma, la trama di questo Carofiglio è un po’ meno “nuova” ed è, come per tutti i romanzi in cui non è protagonista Guerrieri, abbastanza esile. C’è lui, che non è né carne né pesce, e poi c’è quello che lo tira dalla sua parte, mentre lui nemmeno capisce bene cosa ci sia, da quella parte. Anzi, quando comincia a capirlo non gli piace, ma sta lì. E si ribella solo quando viene toccato nel suo intimo, altrimenti, probabilmente, andrebbe avanti così. Una storia di media vigliaccheria, o di ordinario egoismo. Di cui tutti, prima o poi, ci siamo macchiati.   Sì, perché Carofiglio è Autore nel senso pieno del termine, cioè “colui che accresce”. E cosa, accresce? Accresce la vita. La nostra, di noi che leggiamo i suoi libri. Perché il suo modo inimitabile di scendere nei particolari, nel descrivere le sensazioni, con quella ironia inconfondibile, sua, ci fa aprire gli occhi su cose che sapevamo, ma non volevamo dirci.

Un suo romanzo lo si riconosce dalle prime righe perché non solo scrive (molto) bene, ma ha stile, una cosa abbastanza rara nel panorama della letteratura italiana contemporanea. Con il suo stile, con le sue parole, Carofiglio ci prende e ci caccia a forza dentro la nostra vita attraverso quella dei suoi personaggi.

E allora si che “dopo l’ultima pagina il romanzo finisce”, e noi auguriamo tutto il meglio a Enrico, a Giorgio, e a Guido. Quello che sogniamo per noi.

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