giovedì 25 marzo 2010

Apologia della Cultura?

La pazza camminava piano, a testa bassa, con le lacrime di rabbia e indignazione che le scivolavano dalle ciglia portando con sè tracce di mascara viola e brandelli di isterismo. Le acque del Po scorrevano placide e sporche accanto a lei che procedeva incurante della rena che le sporcava gli stivali, stringendosi nel cappotto ormai inutile, per la primavera torinese. Uno sguardo alla Mole e uno alla Basilica di Superga. Uno sguardo innamorato, pieno di aspettative. Di ammirazione. Nella borsa riposavano Schopenhauer e Petrarca. Che non avevano salvato vite umane né costruito ponti o ospedali, ma erano importanti lo stesso.

superga_2005La Pazza piangeva, dal nervosismo. Dalla rabbia. Dalla delusione. Cazzate. La letteratura, la filosofia, cazzate. Perchè non servivano a niente, perchè “lo dicono tutti” che sono cose un po’ così. E lei aveva risposto male, a quelle accuse. “Lo diranno i bifolchi”, aveva risposto.

Ma alla fine, che senso aveva arrabbiarsi, che senso aveva rispondere male? Lei non doveva giustificare a nessuno le sue passioni, non era tenuta a difenderle. non era tenuta a spiegare il Cantico di Bacco e Arianna a chi era sordo all’allegria dei versi, a raccontare la speranza della Signorina Felicita a chi non capiva il silenzio vero. Si arrangiassero.

Non era tenuta a spiegare l’importanza dei classici a chi la disconosceva. Si arrangiassero coloro che non capivano che Euripide, Saffo e Seneca sono meravigliosi e per nulla morti perché l’uomo è sempre lo stesso dall’alba dei tempi. Avrà costruito ponti e strade, avrà sconfitto il tifo e vinto un po’ di guerre, ma dentro è sempre lo stesso. Pensa, vive, ama e muore nello stesso modo. Forse solo con parole diverse.

Lei li sapeva leggere quei classici, aveva gli strumenti per decodificare i riferimenti, le allusioni, le formularità, e voleva imparare sempre più cose. E tutto ciò la arricchiva, la rendeva felice, la faceva sentire piena di un non so che meraviglioso.

Asciugandosi gli occhi con le unghie corte, levò lo sguardo verso la città di Sindone e Superga, e respirò il profumo della primavera. Non doveva difendersi da nessuno. La sua corona di alloro e il suo pezzo di carta sarebbero serviti a qualcosa. Di sicuro

(Non cercate Superga con google. Troverete le scarpe, ahimè)

2 commenti:

  1. certo che serviranno, alloro e pezzo di carta. Soprattutto a se stessi, se non altro. A noi stessi. Ci si sente così a volte, ma col tempo la rabbia cala, aumenta la soddisfazione per le proprie scelte, se sono state fatte col cuore. L'importante è non far diventare la rabbia superbia, perchè credo sia quella la più pericolosa nemica della bellezza. L'alloro sta bene anche nell'arrosto, comunque. E c'è bellezza nell'arrosto quasi quanto nella poesia, se non di più, quando uno ha fame.. Questione di istinti diversi, di diversi appetiti, che si possono sentire con maggiore o minore urgenza. Miscere utile dulci, insomma,.. o meglio, miscere dulce utili, nel nostro caso. Vale sempre per condirsi la vita, e fare più buono ogni arrosto. Indipendentemente da chi sarà invitato a mangiare con noi.

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  2. I classici parlano di noi: gioia, dolore, aspettative, illusioni, delusioni, sentimenti... nelle loro opere troviamo la nostra vita, e tanto ci basta.
    Buon pomeriggio, ciao.
    Pim

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