mercoledì 12 dicembre 2012

Battle Royale–Koushun Takami

TRAMA (da Wikipedia) : Nella "Repubblica della Grande Asia", uno stato totalitario geograficamente localizzato nel Giappone della realtà, vige il BR Act. Secondo tale legge, ogni anno viene scelta tramite sorteggio una classe di terza media per partecipare al cosiddetto Programma. Il gioco consiste in una lotta all'ultimo sangue in cui i giovani e sorpresi (perché tenuti all'oscuro di tutto, e trasportati sul posto con l'inganno) partecipanti devono impugnare l'arma, affidata loro a caso, contenuta in uno zaino e uccidersi a vicenda in un luogo scelto appositamente dal governo, precedentemente evacuato: in questa edizione si tratta di un'isola deserta e sconosciuta. Per costringerli a partecipare, tra i vari espedienti c'è un collare che fornisce al centro di controllo la posizione degli studenti e che esplode in caso di fuga o di ammutinamento. L'obiettivo è che rimanga un solo superstite, l'unico che potrà fare ritorno a casa. Gli studenti sono 42, 21 maschi e 21 femmine.
I miei lettori abituali faranno un salto sulla sedia, a vedere questa recensione. Infatti, questo libro non è assolutamente ascrivibile al novero di quelli che sono solita leggere, anzi. Se non me l’avesse consigliato un amico, che ringrazio, mai e poi mai sarei venuta a conoscenza dell’esistenza di questo romanzo. E soprattutto, mai e poi mai l’avrei letto. Ci ho messo un po’ a macinarmi queste 650 pagine (nell’edizione Kindle), un po’ più di una settimana, che per i miei standard è un tempo lungo per un libro, per quanto possa essere corposo.
La trama è semplicissima. Il tema dominante è sostanzialmente l’amicizia: in un “gioco” simile, in cui si è tutti contro tutti, di chi ci si può ancora fidare? Predominano l’amicizia e l’affetto, o un istinto di sopravvivenza che si trasforma in attacco, in violenza, se la paura di morire ti porta ad attaccare e a uccidere per primo? Ci sono quarantadue ragazzini spaventati in questo libro, vittime di un sistema politico definito “fascismo perfetto” : “la cosa più vicina a una religione era la fede nel sistema politico…”. Paradossalmente, per motivi che spiegherò meglio oltre, è stata soprattutto questa presenza inquietante e incombente di un regime che chiamare totalitario è riduttivo a turbarmi profondamente. Questa assenza totale di libertà, perché, come ci spiega Shogo, i governanti proclamano che “ovviamente, ogni cittadino ha il diritto alla libertà, però quest’ultima deve essere controllata per l’interesse del bene pubblico”.
I ragazzini sono quindi pedine di questo governo, vittime di un gioco perverso, oggetto di scommesse da parte dei supervisori. In alcuni casi, i più insignificanti e piccoli dettagli della loro vita precedente assumono un valore enorme, spropositato. Diventa importante chi ha una cotta per chi, chi è stato gentile con chi. Chi ha aiutato chi, chi ha sorriso a chi, come e quando. Diversamente, la paura dell’altro porta anche a rimuovere i dettagli positivi, a trasformare quelli che prima erano amici in nemici da annientare. Un viaggio nella psiche umana in ogni ricordo, ogni piccolo pensiero riveste un ruolo importantissimo nel prendere le decisioni, nello scegliere se stipulare un’alleanza o se uccidere.
Una lettura affascinante, da questo punto di vista. Takami ci guida con precisione tra questi adolescenti: seguiamo la vicenda di Shuya, Noriko e Shogo come quella principale, ma con un ritmo alternato seguiamo anche quella degli altri personaggi. Partecipiamo alla loro follia, alla loro paura, alla loro morte. Morte che avviene sempre in maniera – ovviamente – violenta, e che ci viene descritta con toni altamente sanguinari e a tratti un po’ splatter. Mi è toccato saltare qualche pagina, lo ammetto.
Non sono sicura sia corretto valutare lo stile di Takami con criteri occidentali, ma ci provo. E’ uno stile freddissimo. Acuto, preciso, analitico, a tratti straniante: abbandona di colpo il personaggio per commentarne i pensieri e le azioni; procedimento che mi è piaciuto. Eppure, è uno stile a parer mio TROPPO freddo. L’ansia dobbiamo provarla noi, costruirla noi. Non veniamo aiutati. L’autore descrive le paure dei ragazzi, ma con tono asettico. Non ci sono passaggi coinvolgenti. Anche il tempo…il tempo qui è tutto, più il tempo passa più il gioco diventa difficile, aumentano le zone in cui i giocatori non possono più andare, il rischio che il collare esploda si fa sempre più alto… ma niente, non percepiamo nessun senso del tempo che scorre, nessuna ansia legata al suo corso inesorabile…Anche sul finale, dominato da una serie di colpi di scena, mi è capitato solo una volta di provare una piccola emozione non auto – indotta (per evitare spoiler, non vi dirò quando..), mentre per il resto sono rimasta indifferente a questo stile iperdescrittivo e razionalistico.
In conclusione… Consigliato sì, perché è comunque una lettura “diversa” e il libro è scritto bene, dal punto di vista lessicale – sintattico. Lo sconsiglierei a chi è troppo impressionabile, però.
Vi lascio la citazione… “Questa vita di merda è quella che si può avere in un paese di merda come il nostro. Ma sai, noi abbiamo anche la capacità di sentirci felici e di divertirci, no? Sono piccole cose, ma è abbastanza per colmare questo vuoto”.

Nessun commento:

Posta un commento