lunedì 13 maggio 2013

Senza titolo.

Un'imposta lasciata socchiusa. Dimenticata, forse. O più probabilmente lasciata così apposta, per guardarsi negli occhi alla luce, e per non dimenticarsi che il mondo, fuori, continua a camminare. Vetri chiusi, però. Perché il mondo quando cammina fa rumore. E il rumore distrae, disturba. è bello tenersi per mano nel rumore. Ma anche poter, ogni tanto, rinunciare a combatterci. Alcuni suoni passavano lo stesso, attraverso i vetri, ma erano i  più belli. Quelli che non disturbano, quelli che ci sembrano "della natura", anche se non è proprio così. Quelli che riconosciamo sempre con piacere, che sentiamo "casa". Le campane della chiesa, anche se in chiesa non ci andiamo mai. I campanacci delle mucche, laggiù nel prato. Strano, come gli stessi materiali  possano produrre suoni così diversi.  Un rumore che ti trasporta lì, che ti fa gioire da lontano della brezza del pascolo, una brezza a cui, in circostanze normali, ti  avvicineresti affamata. E invece, rimanere lì. Ad ascoltare quei suoni, partire da quelli per costruire un discorso. Raccontarsi qualcosa che non ci si è ancora detti. Fare ipotesi impossibili, parlare per la sola gioia di farlo, senza uno scopo. Allungare una mano ogni tanto, per guardare l'orologio - pallido contatto con la realtà - o bere un sorso d'acqua. Tenendosi sempre per l'altra mano, stretti stretti. Con la certezza di essere stretti anche quando le dita dovranno disgiungersi, anche quando bisognerà aprire le finestre, quando il mondo entrerà nella stanza. 

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