giovedì 10 settembre 2015

Voglio essere una Gattamorta. (Ma davvero?)

Quando vieni cresciuta - nel migliore dei modi, ovviamente - da una madre senza aiuti, senza nessuna nonna o parente vicino, impari da subito che nella vita ci si deve arrangiare. Quando hai un fratello più piccolo di te di otto anni, capisci ancora di più che oltre a doverti arrangiare devi anche, magari, occuparti di qualcun altro oltre a te. 
Quando a 18 anni ti iscrivi all'Università a 250 km da casa, devi arrangiarti ancora di più. Nessuno può fare questa cosa per te, consegnare quel documento, sbrigare quella rogna. Però insomma, niente di speciale diciamo. Facevo quello che facevano tutti gli altri, anche se ogni tanto - lo ammetto - rimanevo un po'...stranita... dalle altrui consuetudini familiari. O, per meglio dire, rimanevano straniti loro dalle mie. "Come, tua mamma vi porta in vacanza da sola in Grecia / Parigi / Tunisia?" "Come, tua mamma guida da sola per venire qui?" "Come, andavi tu a prendere tuo fratello a scuola, da sola. Non avevate una babysitter nonna zia cane che lo facesse mentre tu uscivi con gli amici?".  Cioè insomma, per me questa è la normalità. Sono cresciuta nella convinzione che quello che riguarda me lo faccio io, e se riguarda qualcuno di cui mi devo "occupare", pure. Senza tante storie. Perché mia mamma ha fatto così. E questo mi ha trasmesso. E poi, loro non sapevano che avrebbe guidato da sola per 800 km con un congelatore nel bagagliaio.

Quando ci siamo trasferiti in Germania, parlavo un inglese renziano e niente tedesco. Per un po' sono stata dipendente, in tutto e per tutto, da Stefano. Rilassante? Per niente. 
Il fatto di non poter avere il controllo, di non poter fare le mie cose con precisione maniacale mi ha disturbato fin dall'inizio. Non ero abituata, e ho capito che non lo sarei stata mai.

Appena ho cominciato ad avere un tedesco passabile, ho iniziato ad arrangiarmi. La trafila per ottenere un'assicurazione sanitaria mi ha dato del filo da torcere, ma alla fine sono stata orgogliosa di avercela fatta.
Dal momento che - se tutto va bene - ad ottobre comincerò ad insegnare in una sorta di università popolare, mi è toccato rivolgermi al Finanzamt (l'ente che si occupa delle TASSE) per chiedere una sorta di codice fiscale. Mi è arrivato a casa un modulo che...se fosse stato scritto in arabo avrei capito uguale. Ieri sera ho costretto il principe consorte a sedere accanto me e ad assistermi nella compilazione. Il suddetto principe consorte dopo tre minuti giocava all'impiccato sul pc, un po' perché lui il tedesco non lo sa e un po' perché...perché contro la mia furia di..."devo fare questa cosa" c'è poco da fare.  Dopo una crisi isterica - sì, anche le migliori soffrono di sindrome premestruale - ho deciso che lasciavo il modulo compilato a metà e andavo a farmi aiutare dall'impiegato del Finanzamt stesso. E così ho fatto. E nell'andar lì ho pensato che insomma, sarebbe stato bello avere qualcuno accanto che si assumesse l'onere di fare domande, di capire, di chiarire.

Poi ho pensato che no. Che mi sarei stressata un sacco a non avere il controllo della situazione. Che avrei temuto che l'impiegato pensasse fossi una di quelle che si fa fare tutto dal marito. O comunque una cretina. Per cui è andata bene così.

Però insomma, ogni tanto penso che se rinascessi vorrei essere così. Una di quelle donne bisognose di assistenza. Che piangono e ottengono aiuto concreto e sono felici di accettarlo. Non come me, che piango e vengo sostenuta però poi...risolvo da sola. No, una di quelle creature che non devono preoccuparsi di altro che di essere carine e allegre. 
E che quando devono preoccuparsi di altro perché la vita le ha costrette, lo fanno pesare, al punto di convincere qualcuno a prendersi, almeno parzialmente, anche da lontano, cura di loro. Perché secondo me hanno una vita più facile, ecco. Perché riescono a scaricare qualcosa su qualcun altro, e a sentirsi libere. Anche se magari non lo sono. 

Però dovrei proprio rinascerci, eh. Perché diventarlo non si può. Mi vergognerei di me stessa. Perché in fin dei conti, io sono contenta di quello che sono. 

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