venerdì 15 marzo 2013

Scrivere la fine.

A volte, si sente il desiderio di mettere la parola fine a un racconto, senza nemmeno averlo scritto tutto. Senza nemmeno averlo vissuto tanto bene, nel senso di... del tutto, ecco. Non so perché scrivo oggi questa "fine", questa "conclusione" , che si situa nell'eterea ed eterna linea sottile tra vita e racconto, tra realtà e fantasia, tra vero e finzione. Tra spaghetti e condimento, anche.
Forse perché.. oggi mi sento nella disposizione di fare un bel post, e un bel post non ha necessariamente per oggetto un argomento allegro. Anche se... il desiderio di tornare indietro solo con la fantasia, e mettere la parola fine in fondo a un brutto manoscritto abbandonato a metà, in fretta e furia, forse è una cosa bella, indipendentemente da cosa si raccontava in quel manoscritto.

Accadde di sera, inaspettatamente. Lo strano si sfilò la maschera, al termine di un discorso faticoso, pieno di pause, di silenzi, di scuse e giustificazioni. Di suppliche e di speranza: di sfangarla, di attirare il topo nella trappola, di vivere di falsità e menzogne, comode bugie in una realtà troppo in salita, per uno come lui. Agli occhi della bambina, il suo sorriso caldo e amorevole divenne una smorfia. Le sue mani, fonte di gioia, di brividi e emozioni, sembravano ora solo gli artigli di un predatore. L'affetto era disprezzo, l'attrazione disgusto, le risate lacrime. In un attimo, tutto si era spento, morto, concluso.

Accadde di giorno, di colpo. Una mattina d'inverno, durante una discesa. Il vento fischiava sotto il casco, la cinghia del marsupio frustava con forza la giacca della bambina che correva con gioia, piega - distendi - inclina verso valle e un'altra curva e poi un'altra e un'altra ancora. E all'improvviso, il mostro spuntò da dietro la roccia. E non era più un mostro. Era un uomo, con una faccia, delle mani, un sorriso. Niente artigli, niente volto mostruoso. Un uomo bello, un involucro vuoto, ma un bell'involucro. Che visto così, nell'immensità, suscitava un po' d'affetto per ciò che era stato, risvegliava ricordi piacevoli, e cancellava rabbia e rimpianto, lasciando appena spazio a un po' di pena. Una curva larga, e si sorrisero. E lui in quel sorriso era ancora un po' un mostro, forse. Ma la bambina decise di non guardarlo, perché in quella curva, e in quel sorriso, era sorto un bel ricordo, che era accettazione di sé, dei propri errori.
E il bel ricordo era la fine.
E bisogna mettere la parola fine, anzi, bisogna scrivere di averlo fatto. Perché farlo, e prendere atto di averlo fatto, sono due cose diverse.

La donna posò la penna e spense l'ultima sigaretta, mentre i ghiacciai s'inondavano di sole. E rimase lì, a guardare con desiderio la discesa, senza temere la salita.


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