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mercoledì 5 marzo 2014

Uno sguardo sul paesaggio.

                           

Foto scattata ieri, dal mio terrazzo a Valtournenche. La nevicata dei giorni precedenti, quella della notte e un vento fortissimo sono riusciti a produrre QUESTO. 
E' la magia della natura, del vento che non soffia mai della stessa direzione. Della neve che non si posa mai sullo stesso ramo. 

« C'è chi dice sia un esercito di cavalieri, c'è chi dice sia un esercito di fanti,
c'è chi dice sia una flotta di navi sulla nera terra
la cosa più bella, io invece dico
che è ciò che si ama »

Saffo scriveva questo, più di 2500 anni fa. Per me, la cosa più bella è questa. Amo l'arte, la cultura, i grandi romanzi dell'Ottocento, ma se devo dire cosa (non chi, cosa), mi ferma il cuore, la risposta è questo. 
La bellezza della natura è la cosa più bella, per me. E soprattutto di questa natura. La montagna, la neve. Il vento che dispone cumuli di neve e di nuvole a suo piacimento. Senza mai ricreare lo stesso dipinto.
Questa bellezza passa attraverso gli occhi, e ci entra nell'anima.
Possiamo provare a fermarla, a portarla con noi. Oggi lo facciamo come ho tentato di fare io, con poca perizia, con la fotografia. 
Ma...l'amore per la montagna nasce nel Settecento, ad opera di scienziati prima e di umanisti poi.
Sono gli umanisti a portare questa bellezza sulla carta, sia disegnando sia scrivendo. Sono gli umanisti a spingere i grandi alpinisti del passato in vetta. Dietro la conquista del Cervino c'è John Ruskin, dietro quella del Monte Bianco c'è De Saussure.
L'Ottocento è il secolo degli alpinisti pittori, che si confrontarono con questa grande bellezza che ancora oggi ci si presenta di fronte. Uno stesso artista dipingeva il Cervino sette, dieci, venti volte. Perché non è mai uguale, nemmeno nelle stesse condizioni atmosferiche.

E allora io unisco ciò che amo, e scrivo una tesi sul paesaggio di montagna, ed è quando la carta mi si sbriciola tra le mani, quando devo mettermi i guanti per sfogliare un volume, che capisco che il mio lavoro ha un senso. Quello di ridare, nel mio piccolo, dignità a tutti questi pittori dimenticati dalla storia, soffocati dalle avanguardie, dalla Belle époque. Ridare dignità a meravigliosi dipinti relegati al rango di "arte minore". 
A un modo particolare, in parte tramontato per sempre, di vedere questa grande bellezza, immortale. 

sabato 3 agosto 2013

e basto a me stessa

Non ho mai avuto, per attitudine, per esperienze passate, o per carattere, problemi a stare da sola. C'era sempre qualcosa da fare, per riempire un pomeriggio, o due.
Ed è stato così anche oggi, in questo sabato solitario a Valtournenche. Niente sveglia, troppo sonno da recuperare. Una passeggiata nel bosco deserto, e pieno di fruscii. Una marmotta che attraversa veloce il sentiero, e l'erba che non smette di ondeggiare. E la memoria che corre ad alcuni libri letti da bambina, le storie dei topini di Boscodirovo.

Valtournenche dalla frazione Servaz


Poi, un po' di spesa veloce in paese, e via a casa. Apparecchiare sul tavolino minuscolo del terrazzo, mangiare con appetito vero e soprattutto con gusto. Lavare i piatti, e sdraiarsi a prendere il sole in intimo (spaiato), ché tanto qui non mi vede proprio nessuno.
E adesso?
E adesso sto qui, a mangiare la macedonia, aspettando che dopo il temporale torni il sereno.


sabato 25 maggio 2013

Valorizzar(si)

"Fa parte della Valle d'Aosta come gli alberi, gli uccelli, l'erba, le nuvole, le mele, le pietre. (...) Mi auguro che la sua terra si occupi di documentare il suo lavoro così spontaneo, come gli alberi producono i fiori e i frutti"

                                                                                                       
  (Bruno Munari su Franco Balan)

lunedì 15 aprile 2013

L'ultima della stagione.

L'ultima sciata della stagione è strana. Meno dolorosa della penultima: sembra assurdo ma è così. Perché nella penultima soffri, temi che possa essere l'ultima, magari qualche intoppo interverrà a impedirti di tornare ancora una volta. Ti guardi in giro e ti senti triste, pensando che l'8 dicembre è lontano, che quest'anno hai sciato poco... Te la guasti, in un certo senso, mentre cerchi di godertela il più possibile. Cerchi di fare più che puoi, di piegarti più che puoi, di essere veloce, di, di, di.
E invece l'ultima è più rilassante, più divertente, te la godi di più. Ti fermi a prendere il sole, dosi le energie, ti gusti ogni singola curva, la smetti di cercare di imprimerti le montagne nella memoria e te le godi, nella certezza che tanto le vedrai ancora, e loro saranno sempre lì, sempre le stesse ma mai uguali.

La Becca d'Aran dal pistone
Ed è solo gioia lasciarsi portare dalla lamine, un po' di fatica in più verso il fondo, le gambe pesanti, gli sci che si incollano alla neve marcia, la costante attenzione a come si muovono le ginocchia... Fatica che diventa felicità, nel vedere chi c'è laggiù, e vedere che guarda te già prima che tu lo chiami.

venerdì 15 marzo 2013

Scrivere la fine.

A volte, si sente il desiderio di mettere la parola fine a un racconto, senza nemmeno averlo scritto tutto. Senza nemmeno averlo vissuto tanto bene, nel senso di... del tutto, ecco. Non so perché scrivo oggi questa "fine", questa "conclusione" , che si situa nell'eterea ed eterna linea sottile tra vita e racconto, tra realtà e fantasia, tra vero e finzione. Tra spaghetti e condimento, anche.
Forse perché.. oggi mi sento nella disposizione di fare un bel post, e un bel post non ha necessariamente per oggetto un argomento allegro. Anche se... il desiderio di tornare indietro solo con la fantasia, e mettere la parola fine in fondo a un brutto manoscritto abbandonato a metà, in fretta e furia, forse è una cosa bella, indipendentemente da cosa si raccontava in quel manoscritto.

Accadde di sera, inaspettatamente. Lo strano si sfilò la maschera, al termine di un discorso faticoso, pieno di pause, di silenzi, di scuse e giustificazioni. Di suppliche e di speranza: di sfangarla, di attirare il topo nella trappola, di vivere di falsità e menzogne, comode bugie in una realtà troppo in salita, per uno come lui. Agli occhi della bambina, il suo sorriso caldo e amorevole divenne una smorfia. Le sue mani, fonte di gioia, di brividi e emozioni, sembravano ora solo gli artigli di un predatore. L'affetto era disprezzo, l'attrazione disgusto, le risate lacrime. In un attimo, tutto si era spento, morto, concluso.

Accadde di giorno, di colpo. Una mattina d'inverno, durante una discesa. Il vento fischiava sotto il casco, la cinghia del marsupio frustava con forza la giacca della bambina che correva con gioia, piega - distendi - inclina verso valle e un'altra curva e poi un'altra e un'altra ancora. E all'improvviso, il mostro spuntò da dietro la roccia. E non era più un mostro. Era un uomo, con una faccia, delle mani, un sorriso. Niente artigli, niente volto mostruoso. Un uomo bello, un involucro vuoto, ma un bell'involucro. Che visto così, nell'immensità, suscitava un po' d'affetto per ciò che era stato, risvegliava ricordi piacevoli, e cancellava rabbia e rimpianto, lasciando appena spazio a un po' di pena. Una curva larga, e si sorrisero. E lui in quel sorriso era ancora un po' un mostro, forse. Ma la bambina decise di non guardarlo, perché in quella curva, e in quel sorriso, era sorto un bel ricordo, che era accettazione di sé, dei propri errori.
E il bel ricordo era la fine.
E bisogna mettere la parola fine, anzi, bisogna scrivere di averlo fatto. Perché farlo, e prendere atto di averlo fatto, sono due cose diverse.

La donna posò la penna e spense l'ultima sigaretta, mentre i ghiacciai s'inondavano di sole. E rimase lì, a guardare con desiderio la discesa, senza temere la salita.


lunedì 11 marzo 2013

Heidi

Ieri ho riletto Heidi, sul treno. L'ho scelto un po' per rilassarmi dopo aver passato due giorni a scrivere una tesina per l'università, e un po' perché avevo voglia di coccolarmi, di sentirmi un po' bambina, di lasciare che quelle pagine scorressero da sole, di riassaporarle piano, come un gioco dimenticato. Heidi è davvero l'infanzia, la televisione la domenica pomeriggio, la sigla alla tele, le caprette disegnate nei cartoni. E poi quel film, con quei paesaggi così meravigliosi e severi insieme.

Heidi... Heidi sono un po' io, lo sapete. Per carità, io in città mangio lo stesso, e non divento sonnambula. Sono solo un po' più tesa, bisognosa d'aria, di spazi aperti. è questo, essenzialmente, che manca ad Heidi a Francoforte: poter vedere le cime, i panorami ampi. A Torino, dalla finestra della mia classe, si gustava un colpo d'occhio sul Monviso bianco, ed era bellissimo. Heidi prova a salire sulla cima del campanile, ma sotto ci sono solo tetti e torri. Avrei voluto portarla sulla Mole, povera Heidi, o a Superga. Anche se non è la stessa cosa, è comunque qualcosa.
Di Parma amo tutto, ma non riesco a perdonarle questa piattezza esasperante, questo panorama di case, questa campagna tanto verde quanto piatta.
La montagna mi manca, sempre. Ogni giorno. Un po' come Heidi, mi dà quel soffio vitale. Mi rende quella che sono.

è stato bello rileggerlo, sentirmi un'adulta coccolata raccontandomi da sola la storia di quella bambina. E siccome sono adulta, e anche un po' "studiata", stavolta Heidi mi ha lasciato degli interrogativi, o meglio, quella meravigliosa cosa che i docenti amano riconoscere in noi studenti: la voglia di approfondire. Voglio soffermarmi sull'idea di sublime, che c'è. E capire quale sia, davvero, la fragilità di Heidi che la porta a stare così male, in mezzo alla case. Perché quella fragilità.. è anche la mia.

lunedì 4 marzo 2013

Fondersi - alle Cime Bianche

E poi c'è quel momento, in cui la seggiovia si ferma in mezzo al nulla, e dondola piano senza far rumore.. E accanto a te non c'è nessuno, l'unico suono è  musica delle lamine degli sciatori sulla neve ancora gelata, mentre il sole si arrischia piano piano a illuminare le piste. E allora ti sporgi, appoggiando la fronte alla sbarra di sicurezza, e guardi giù. E ti senti un tutt'uno con quel silenzio immobile, con l'aria fresca. E hai la testa completamente vuota, non desideri nient'altro che fonderti con quella pace, e l'attesa della velocità, e di quel brivido in fondo al cuore che solo tu conosci, si può anche prolungare, non c'è fretta. E non ti importa di nient'altro, non c'è nessun altro problema da affrontare, niente di cui preoccuparsi. Non fa male nemmeno accorgersi che quando lasci ciondolare il viso così, la mandibola sporge più del dovuto.

Della fusione con lo spazio, con l'atmosfera, parla anche Dostoevskij nell'Idiota, quando Myskin fa il suo discorso contro la pena di morte. Lo conoscete?

Vi piace il nuovo sfondo? La foto è opera della mia mamma...

sabato 5 gennaio 2013

...Cime Bianche

Tornare a casa è difficile sempre, per tutti. Lo è soprattutto dopo una vacanza così.
Guarita dalla noiosa influenza di Natale,il clima mi hanno regalato sei giorni meravigliosi tutti da sciare alle Cime Bianche, un po' con un'amica un po' da sola, mettendo alla prova le mie gambe, ma soprattutto il mio cuore di fronte a panorami pazzeschi. Credo sia il posto più bello del mondo, dico davvero!
Il paletto in primo piano non è un granché, lo riconosco. Ma almeno avete un'idea dell'immensità del paesaggio...
...Qui, si vede meravigliosa la  Punta Tzan, mentre invece qui 

vedete un po' di Grandes Murailles. Panorami sempre più aperti man man che si sale, e tutti da apprezzare scendendo. E la sensazione di guardare sempre più lontano, sempre più in là. Chi dice che la montagna "chiude", "limita"... non capisce niente! ;) Io non potrei vivere lontano da questo mondo, senza respirare quell'aria, senza sentire la neve sotto le lamine, il vento sotto il casco, la velocità nell'anima. 

Per il mio 2013, mi auguro di incontrare qualcuno. Ma qualcuno che condivida questa passione, perché per me montagna è vita, è aria, è libertà, è apertura. 

Vi piace il nuovo sfondo?